Dopo la
crisi di fine Ottocento che ebbe nella brutale soppressione dei Fasci Siciliani
dei Lavoratori, nella sanguinosa repressione dei moti per il pane, nel
tentativo autoritario del generale Pelloux e nell’assassinio di Umberto I per
opera dell’anarchico Gaetano Bresci gli ultimi, drammatici sussulti, il
Novecento si aprì con una svolta del liberalismo che, ora al governo con
Giovanni Giolitti, inaugurò una controversa stagione di riforme sociali
sostenuta dal voto dei socialisti riformisti ispirati da Filippo Turati. Nel
1903 si registrò dunque l’avvio della legislazione sociale, delle concessioni
salariali agli operai delle industrie del nord, dell’affidamento alle
cooperative di braccianti della valle Padana di lavori pubblici.
La
Sicilia e il Meridione d’Italia, però, rimasero esclusi da questo moto di
rinnovamento sociale. La piaga del latifondo e il tarlo di una mentalità
retrograda nel ceto imprenditoriale, contribuirono a impedire ogni cambiamento
soprattutto in Sicilia. Da poco uscita dallo stato d’assedio militare decretato
per distruggere il movimento dei Fasci, l’Isola continuava a essere teatro di
lotte sociali combattute dal proletariato di città e di campagna e dal ceto
medio intellettuale che si battevano per la modernizzazione contro una borghesia
e un’aristocrazia che invece si ostinavano a mantenere intatto l’ormai vecchio
ordine politico ed economico. Continuava, dunque, quella lotta di classe che
contrapponeva la filiera della solidarietà e della democrazia sociale al blocco
dominante. Soggetti attivi in questo campo di battaglia erano, naturalmente, le
Società Operaie di Mutuo Soccorso che colmavano il vuoto di giustizia sociale
in Sicilia.
Proprio
nel 1903 avviene a Marsala uno dei tanti piccoli episodi, apparentemente senza
importanza, che dimostrano in quali gravi condizioni si svolgevano i rapporti
sociali nell’Isola. Durante una manifestazione pubblica il giovane Vincenzo
Regina, operaio nello Stabilimento Florio, aveva preso la parola denunciando lo
sfruttamento capitalistico del lavoro e dei lavoratori in Sicilia. Rientrato in
fabbrica il Regina era stato convocato dal direttore dello stabilimento, Carlo
Martinez, il quale pretese dal giovane lavoratore la ritrattazione pubblica del
suo discorso pena il licenziamento immediato; ma Vincenzo Regina, nonostante la
minaccia di perdere il lavoro, si rifiutò di ritrattare quanto aveva affermato.
Il fatto non rimase prigioniero dell’omertà. A quel tempo non esisteva ancora
il Sindacato ma la vasta rete di organizzazioni sociali e operaie di Marsala
insorse contro il gravissimo ricatto.
Il 26
giugno si riunirono i rappresentanti di tutte le Leghe operaie di Marsala, dei
circoli socialisti “Giovani Lavoratori” e “Terra Libera”, del circolo
“Libertario”, della redazione del giornale “La Redenzione” i quali, dopo avere
denunciato la «tentata castrazione della libertà di pensiero perpetrata dal
Sig. Carlo Martinez contro l’operaio Regina Vincenzo», plaudirono «alla
condotta coraggiosa e all’esempio di carattere di questo giovane lavoratore» e protestarono
«contro i sistemi di sfruttamento e contro queste continue sopraffazioni
padronali», ritenute segno «d’un malinteso autoritarismo degno d’altri tempi».
Il 27
giugno si riunì l’Alleanza fra i Lavoratori dello Stabilimento Florio che, dopo
avere anch’essa condannato il fatto, deliberò: «di approvare e lodare la
condotta di Regina Vincenzo; di tenere alto il prestigio della classe operaia,
sostenendolo con fraterna solidarietà; di unire la sua voce a quella delle
altre organizzazioni proletarie, per protestare contro i sistemi d’inposizione
usati dal capitalismo sfruttatore».
Ora, è
proprio questa forza molecolare che si unisce e insorge che va evidenziata.
L’episodio dimostra che quel carattere egoista e individualista assegnato da
certa letteratura ai siciliani, non coinvolge tutto il popolo ma una parte di
esso. Se la legge dei diritti individuali disciplinava la borghesia e
l’aristocrazia, il dovere della solidarietà e del mutuo appoggio ispirava il
proletariato siciliano. La lotta sociale diventava così lotta di classe; non
soltanto lotta economica di una classe contro l’altra ma lotta culturale di uno
stile di vita contro un altro. Lo stile di vita solidaristico, mutualistico,
comunitario contro l’individualismo autoritario.
Questa
rete solidale dei deboli che si lega e si lancia coraggiosamente all’attacco
del padrone, smaschera un altro luogo comune usato contro i siciliani: quello
dell’omertà e della rassegnazione. Non è affatto vero che il proletariato
operaio, bracciantile e intellettuale siciliano era omertoso e rassegnato: esso
alzava forte la voce e sfidava il destino; tutte le rivolte e le lotte sociali
combattute in Sicilia lo attestano. Di fronte ad esse vi è poi la criminale
complicità omertosa del ceto dominante, “gattopardescamente” rassegnato a
tenere la Sicilia nelle condizioni in cui essa era.
Questa
cultura proletaria di solidarietà, di comunanza nella lotta contro le
avversità, era anche il frutto della quotidiana esperienza maturata all’interno
delle centinaia di migliaia di sodalizi operai fondati in tutta l’Isola e che
spesso provenivano da quelle confraternite che avevano visto la luce nella
Sicilia antica; era il mutuo appoggio cresciuto nei vicoli e nei borghi abitati
dalla gente che insieme lottava per l’esistenza in quella che Felice Chilanti
definì «l’età del pane».
Michelangelo Ingrassia
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