venerdì 1 aprile 2016

MICHELANGELO INGRASSIA, Quando in Sicilia la lotta sociale era lotta … di classe!

Dopo la crisi di fine Ottocento che ebbe nella brutale soppressione dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, nella sanguinosa repressione dei moti per il pane, nel tentativo autoritario del generale Pelloux e nell’assassinio di Umberto I per opera dell’anarchico Gaetano Bresci gli ultimi, drammatici sussulti, il Novecento si aprì con una svolta del liberalismo che, ora al governo con Giovanni Giolitti, inaugurò una controversa stagione di riforme sociali sostenuta dal voto dei socialisti riformisti ispirati da Filippo Turati. Nel 1903 si registrò dunque l’avvio della legislazione sociale, delle concessioni salariali agli operai delle industrie del nord, dell’affidamento alle cooperative di braccianti della valle Padana di lavori pubblici.

La Sicilia e il Meridione d’Italia, però, rimasero esclusi da questo moto di rinnovamento sociale. La piaga del latifondo e il tarlo di una mentalità retrograda nel ceto imprenditoriale, contribuirono a impedire ogni cambiamento soprattutto in Sicilia. Da poco uscita dallo stato d’assedio militare decretato per distruggere il movimento dei Fasci, l’Isola continuava a essere teatro di lotte sociali combattute dal proletariato di città e di campagna e dal ceto medio intellettuale che si battevano per la modernizzazione contro una borghesia e un’aristocrazia che invece si ostinavano a mantenere intatto l’ormai vecchio ordine politico ed economico. Continuava, dunque, quella lotta di classe che contrapponeva la filiera della solidarietà e della democrazia sociale al blocco dominante. Soggetti attivi in questo campo di battaglia erano, naturalmente, le Società Operaie di Mutuo Soccorso che colmavano il vuoto di giustizia sociale in Sicilia.
Proprio nel 1903 avviene a Marsala uno dei tanti piccoli episodi, apparentemente senza importanza, che dimostrano in quali gravi condizioni si svolgevano i rapporti sociali nell’Isola. Durante una manifestazione pubblica il giovane Vincenzo Regina, operaio nello Stabilimento Florio, aveva preso la parola denunciando lo sfruttamento capitalistico del lavoro e dei lavoratori in Sicilia. Rientrato in fabbrica il Regina era stato convocato dal direttore dello stabilimento, Carlo Martinez, il quale pretese dal giovane lavoratore la ritrattazione pubblica del suo discorso pena il licenziamento immediato; ma Vincenzo Regina, nonostante la minaccia di perdere il lavoro, si rifiutò di ritrattare quanto aveva affermato. Il fatto non rimase prigioniero dell’omertà. A quel tempo non esisteva ancora il Sindacato ma la vasta rete di organizzazioni sociali e operaie di Marsala insorse contro il gravissimo ricatto.
Il 26 giugno si riunirono i rappresentanti di tutte le Leghe operaie di Marsala, dei circoli socialisti “Giovani Lavoratori” e “Terra Libera”, del circolo “Libertario”, della redazione del giornale “La Redenzione” i quali, dopo avere denunciato la «tentata castrazione della libertà di pensiero perpetrata dal Sig. Carlo Martinez contro l’operaio Regina Vincenzo», plaudirono «alla condotta coraggiosa e all’esempio di carattere di questo giovane lavoratore» e protestarono «contro i sistemi di sfruttamento e contro queste continue sopraffazioni padronali», ritenute segno «d’un malinteso autoritarismo degno d’altri tempi».
Il 27 giugno si riunì l’Alleanza fra i Lavoratori dello Stabilimento Florio che, dopo avere anch’essa condannato il fatto, deliberò: «di approvare e lodare la condotta di Regina Vincenzo; di tenere alto il prestigio della classe operaia, sostenendolo con fraterna solidarietà; di unire la sua voce a quella delle altre organizzazioni proletarie, per protestare contro i sistemi d’inposizione usati dal capitalismo sfruttatore».
Ora, è proprio questa forza molecolare che si unisce e insorge che va evidenziata. L’episodio dimostra che quel carattere egoista e individualista assegnato da certa letteratura ai siciliani, non coinvolge tutto il popolo ma una parte di esso. Se la legge dei diritti individuali disciplinava la borghesia e l’aristocrazia, il dovere della solidarietà e del mutuo appoggio ispirava il proletariato siciliano. La lotta sociale diventava così lotta di classe; non soltanto lotta economica di una classe contro l’altra ma lotta culturale di uno stile di vita contro un altro. Lo stile di vita solidaristico, mutualistico, comunitario contro l’individualismo autoritario.
Questa rete solidale dei deboli che si lega e si lancia coraggiosamente all’attacco del padrone, smaschera un altro luogo comune usato contro i siciliani: quello dell’omertà e della rassegnazione. Non è affatto vero che il proletariato operaio, bracciantile e intellettuale siciliano era omertoso e rassegnato: esso alzava forte la voce e sfidava il destino; tutte le rivolte e le lotte sociali combattute in Sicilia lo attestano. Di fronte ad esse vi è poi la criminale complicità omertosa del ceto dominante, “gattopardescamente” rassegnato a tenere la Sicilia nelle condizioni in cui essa era.
Questa cultura proletaria di solidarietà, di comunanza nella lotta contro le avversità, era anche il frutto della quotidiana esperienza maturata all’interno delle centinaia di migliaia di sodalizi operai fondati in tutta l’Isola e che spesso provenivano da quelle confraternite che avevano visto la luce nella Sicilia antica; era il mutuo appoggio cresciuto nei vicoli e nei borghi abitati dalla gente che insieme lottava per l’esistenza in quella che Felice Chilanti definì «l’età del pane».
E’ questa ricchezza culturale, questa forma mentis, questa cultura di classe che occorre oggi recuperare: con la memoria e per la prospettiva di un nuovo orizzonte di giustizia sociale in Sicilia. (VAI AL DOCUMENTO)
Michelangelo Ingrassia

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